NAPOLI – Castel dell’Ovo, 6-9 Novembre 2013
Dal locale al globale:
i molti approcci per aggredire il problema rifiuti
Cambiare metodi di misurazione del progresso e del benessere. Studiare sistemi di condivisione dei beni e dei servizi. Iniziare a calcolare le esternalità e i costi sociali delle attività umane. Al X Forum internazionale dell’Informazione per la Salvaguardia della Natura organizzata a Napoli dall’associazione Greenaccord, i relatori intervenuti nella prima giornata di lavori presentano le proposte per costruire un modello di sviluppo realmente sostenibile.
Napoli, 6 Novembre 2013 – C’è bisogno di un approccio davvero multidisciplinare per risolvere il problema dei rifiuti. E tutti possono dare una mano concreta. A tutti i livelli. Il segnale che emerge chiaramente dalle relazioni presentate durante la prima giornata di lavori del decimo Forum internazionale per la Salvaguardia della Natura, organizzato a Napoli dall’associazione Greenaccord in collaborazione con il Comune di Napoli.
E se il cardinale Crescenzio Sepe – tra l’interesse e il clamore degli oltre cento giornalisti internazionali presenti – ha lanciato una proposta shock a livello spirituale (“chi inquina non è in grazia di Dio e non può fare la comunione”), gli altri relatori hanno sottolineato lo stretto legame tra la produzione di rifiuti e un modello di sviluppo insostenibile sia dal punto di vista sociale sia ambientale.
Dati impressionanti quelli presentati, ad esempio, da William Rees, docente della British Columbia University. Le economie urbane producono quantitativi di rifiuti mai visti finora. 11 tonnellate pro capite da ogni cittadino giapponese. Addirittura 25 tonnellate per ogni cittadino degli Stati Uniti d’America. Nel frattempo, il 30% del terreno agricolo è diventato improduttivo a causa del consumo di suolo, che continua a ritmi fino a 40 volte più veloci di quanto la Terra può sopportare. E non va meglio negli oceani: l’82% degli stock di pesce sono sovrasfruttati, depauperando le risorse ittiche mondiali.
“Molte variabili naturali stanno ormai raggiungendo il punto di non ritorno: l’acidificazione degli oceani, l’uso di risorse idriche, il consumo di suolo, lo sfruttamento di biodiversità. Purtroppo tendiamo ancora a ignorare questo problema, perché questo è un film che l’opinione pubblica mondiale non vuole andare a vedere” osserva Robert Costanza, economista ecologico, docente di Public Policy all’Australian National University. “Il cambio di paradigma è indispensabile per non soccombere come avvenuto in passato ad altre società umane. In primo luogo, abbandonando l’idea secondo cui la crescita economica sia potenzialmente infinita”.
Secondo Costanza, è possibile (e auspicabile) costruire una società che finalmente sappia calcolare gli effetti negativi della produzione dei rifiuti sul benessere umano. Per farlo, bisogna aggiornare gli strumenti che misurano lo sviluppo. A partire dal Prodotto interno lordo. “Paradossalmente, il Pil cresce se ci sono più rifiuti, se l’uomo deve intervenire quando una nave sversa petrolio in mare o quando le emissioni di gas nocivi raggiungono livelli intollerabili per la salute pubblica”. I nuovi indicatori devono invece iniziare a includere le esternalità prodotte da ogni attività umana, calcolando i costi sociali di un prodotto. “Sarebbe una spinta eccezionale a produrre meno scarti perché essi sarebbero un danno per i bilanci aziendali e degli Stati”.
Ma gli interventi possibili non sono solo quelli che i governi possono assumere a livello internazionale. Già dalle comunità locali può partire un nuovo modo di pensare il benessere. Ad esempio rispolverando il vecchio concetto di condivisione dei beni. “Ripensare lo stile di consumi è cruciale se vogliamo far ripartire il mondo” spiega Friederich Hinterberger, ricercatore del SERI (Sustainable Europe Research Institute) di Vienna. “Penso al car sharing, assai diffuso nella città in cui vivo. O la condivisione di elettrodomestici da collocare negli spazi comuni degli edifici. Dobbiamo partire dalla nostra impronta ecologica, per capire davvero quanto consumiamo. E, al tempo stesso, dobbiamo capire da dove arrivano le risorse che consumiamo. Solo abbracciando una nuova idea di uso comune delle risorse e dei beni potremmo guardare al futuro con rinnovata fiducia”.NAPLES – Castel dell’Ovo, 6-9 November 2013
From local to global:
the many ways and approaches to assail the waste problem
Changing the measurement indices of progress and wellbeing, studying the systems to share the goods and services available, include in the equation the external influences and social costs of human activity. These are just a few of the solutions proposed by the experts who spoke today in the 10th International Media Forum for the Protection of Nature held in Naples and organized by Greenaccord, bringing forward concrete suggestions for a development truly sustainable.
Naples, November 6th 2013 – A multi-disciplinary approach is key to resolving the garbage waste issues. And everyone can give a concrete contribution, on every level. This is what is being discussed during the first day of lectures and speeches in the 10th International Media Forum for the Protection of Nature brought to Naples by Greenaccord in collaboration with the Neapolitan town-hall.
And if Cardinal Crescenzio Sepe – in front of more than one hundred journalists from around the world – launched a shocking proposition on a spiritual level (“those who pollute are not in God’s graces and can not receive communion”), the other speakers have underlined the tight liaison between garbage production and a model of socially and environmentally sustainable development.
Impressive numbers and data was presented, for example by Professor William Rees, from the British Columbia University. Urban economies produce consistent amounts of garbage, the largest ever so far. The Japanese produce 11 tons pro capita per year, the Americans reach the incredible amount of 25 tons. In the meanwhile, 30% of cultivable land has become unproductive because excessively exploited, an exploitation progressing 40 times faster than what the Earth can bare. And the oceans are not doing any better: 82% of fish stock is also excessively and intensely over-exploited.
“Many environmental variables are reaching a point of no return: acidification of the oceans, draining of the water reserves, excessive soil consumption, exploitation of the Earth’s biodiversity. Unfortunately many of us persist in ignoring this problem, it is a story the public opinion does not want to hear” says Robert Costanza, ecological economist and professor of Public Policy at the Australian National University. “We need to change our standards and not succumb as other civilizations have done in the past. The first step would be to abandon the misconception that economic growth is potentially infinite”.
Professor Costanza looks to a better society which holds into account the negative effects the production of garbage has on people’s wellbeing. To do so, we need to change the measurement tools used so far to evaluate a society’s development, starting from the GDP. “Paradoxically, GDP grows if the garbage waste increases, or if salvage teams are hired to clean oil spills or when toxic gases reach intolerable levels for public health”. The new indices need to include in the equation the external consequences of any human activity, by also calculating the social costs production has. “This would be an excellent incentive to produce less waste as more waste would be damaging to the corporations’ or the country’s income”.
The measures to be put into action are not just on an international level. Local small communities are key to rethinking the idea of wellbeing. For example by reconsidering the old concept of sharing. “Changing the way we consume is crucial if we want the world to continue spinning.” Professor Friedrich Hinterberger, researcher at the SERI (Sustainable Europe Research Institute) in Vienna, explains. “I’m thinking of car sharing for example, efficiently used by many in my hometown. Or sharing washing-machines by putting them in a communal area in apartment buildings. We need to start by reducing our personal ecological footprints and understand exactly how much each one of us consumes. And at the same time, we must trace the provenience of the resources we use. Only by embracing a new idea of communal use of resources and goods we can look towards the future with renewed hope”.
Visit www.greenaccord.org for a full program of the X International Media Forum on the Protection of Nature. Live streaming of the event is available on our website.