Si è chiusa la 5^ edizione della manifestazione dedicata all’educazione che dal prossimo anno si metterà in viaggio per attraversare altre città italiane. Giovani fiduciosi costruttori di futuro, famiglie che cambiano, il mondo della scuola che assume il compito di orientare e una comunità di fronte alle sfide educative: questi i principali temi della tre giorni a Rovereto.
Intensa e calda anche quest’anno la partecipazione a EDUCA, nonostante la pioggia e la concomitanza di altri appuntamenti nella regione. Cresciuta notevolmente sopratutto la presenza dei giovani: sono stati centinaia, e da tutta Italia, quelli venuti ad ascoltare, ma sopratutto a raccontarsi.
Prima di fare una sintesi delle principali riflessioni emerse nella tre giorni dedicata all’educazione, Michele Odorizzi, presidente del comitato organizzatore della manifestazione, ha provato a rispondere alla domanda: cosa farà da grande EDUCA? “Si metterà in viaggio, accettando la sfida di rimettere l’educazione al centro dell’attenzione politica e sociale anche in altri territori. Educa si fa prossima avvicinandosi ad altre realtà per scoprirne le ricchezze e le passioni confidando di trovare la partecipazione e l’interesse respirati qui a Rovereto. Nella valigia per il viaggio abbiamo messo dei doni per le comunità che incontreremo: il progetto pluriennale sui “Maestri dell’educazione”, curato dal filosofo Roberto Mancini e il metodo che abbiamo utilizzato in questi anni basato sul coinvolgimento e la costruzione dal basso”.
Quattro i filoni fondamentali su cui si è concentrata questa 5^ edizione: le famiglie di oggi tra incertezza e figli che crescono; i giovani e loro voglia di costruire il futuro; la scuola nel suo ruolo di orientamento; la società nella sua funzione educante.
Le famiglie
Come rispondono le famiglie alla domanda “cosa farà da grande?” che ha dato il titolo alla 5^ edizione di EDUCA? “In tutti gli incontri – afferma Silvia Cavalloro, membro del comitato promotore di EDUCA – è emerso come noi genitori abbiamo la necessità di riscoprire la grande potenza che ci ha costituito come famiglia: il grande desiderio di bellezza per noi e i nostri figli”.
“Riscoprire questa spinta – ha sottolineato il professor Riccardo Prandini, curatore scientifico di Officina Famiglie (il percorso avviato lo scorso anno da EDUCA che ha coinvolto in tutta Italia 250 genitori) – ci aiuta a non confondere la protezione con l’affiancamento: bisogna imparare e continuare ad allenarsi nell’arte sublime del fare un passo indietro aiutando nel contempo i passi d’indipendenza dei ragazzi”. I genitori oggi sono pieni di aspettative e desiderio per i loro figli (così i ntensi, a volte, da trasformarmi in ansia e iperprotezione.
Gli adulti devono lasciare che i ragazzi siano artefici della propria vita, devono riconoscere loro la possibilità – che è anche responsabilità – di pensarsi e costruirsi. “Dobbiamo cambiare sguardo sui tempi vuoti dei ragazzi – ha affermato Cavalloro – che non sono assenza, ma possibilità di muoversi e di scoprire cose o interessi nuovi che il “troppo pieno” del nostro oggi non permette”. Nei seminari di EDUCA è emerso anche il profondo cambiamento in atto nella configurazione delle famiglie e dei ruoli al loro interno: “la nostra – ha detto Prandini – è la prima generazione a dover davvero fare l’esperienza di un conflitto tra i ruoli familiari e ad essere in completa assenza di modelli nuovi di padre e di madre”. Dialoghi e seminari hanno anche mostrato che le famiglie oggi sono interessate a vivere esperienze, più che a possedere oggetti. Si deve però evitare un nuovo tipo di consumismo, un atteggiamento bulimico per cui si vorrebbe fare tutto rischiando però di restare in superficie.
I giovani
Da Officina Giovani – il percorso annuale avviato lo scorso anno che ha coinvolto gruppi in tutta Italia – è emersa forte la richiesta dei ragazzi di essere riconosciuti come persone, nelle loro competenze, nella loro originalità di interpretare la realtà. Non si sentono sprovveduti e fragili, hanno detto con garbo e senza ostentazione: “per affrontare il domani abbiamo ciò che ci serve”. Hanno anche dichiarato in modo esplicito il bisogno di costruire un dialogo con il mondo adulto che dia loro la sicurezza di non essere soli. Competenze e talenti dei ragazzi sono risultati chiari e inequivocabili nelle narrazioni delle loro esperienze, vere, vitali e generative come quelle dei giovani del Rione Sanità di Napoli, di Ripplemarks di Firenze, dell’Operation Daywork di Bolzano e delle cooperative scolastiche trentine, solo per citarne alcune.
I ragazzi si sono confrontati a EDUCA anche con adulti, testimoni del nostro tempo: manager, filosofi, uomini della cultura.
Così Stefano Zanolli, dirigente di una grande ditta di abbigliamento, li ha invitati ad individuare il loro talento nell’unica competenza che oggi è effettivamente richiesta: trovare soluzioni inedite ai problemi che esistono e che loro devono essere in grado di leggere e interpretare. Mentre il filosofo Ivo Lizzola dell’Università di Bergamo ha esortato gli adulti ad essere “passatori”, i corridori che nella staffetta passano il testimone e stanno a guardare incitando il loro compagno.
La scuola
Altra evidenza di questa 5^ edizione di EDUCA è che sapere orientare e orientarsi nella vita è fondamentale a tutte le età.
Il tema dell’orientamento è stato approfondito in particolare rispetto al mondo della formazione: si tratta, infatti, di una funzione che le scuole hanno assunto in quasi tutta Italia, seppure in modo eterogeneo e frammentato.
Unanime è però la visione dell’orientamento come processo che accompagna sin dalla nascita ed è fondamentale nella costruzione dell’identità, poiché le azioni di ciascuno dipendono dal suo essere.
“Un tempo – ha affermato Beatrice De Gerloni, direttrice di IPRASE – orientare significava aiutare nella ricerca di percorsi professionali che si caratterizzavano come strade certe, lineari e stabili. Oggi l’obiettivo è fornire ai giovani gli strumenti per non smettere mai di imparare e per saper affrontare l’incertezza, valorizzando la creatività e l’imprenditorialità. Bisogna smettere di considerare l’autonomia e la responsabilità come un tratto naturale del carattere: i ragazzi devono fare esperienze di autonomia fuori e dentro la scuola e la responsabilità è qualcosa che va attribuito”.
“È importante offrire strumenti ed esperienze utili all’auto-orientamento e per questo è necessario – ha affermato il professore Mario Castoldi dell’Università di Torino – una svolta epocale poiché la valutazione scolastica oggi non è adeguata a distinguere le competenze, che sono la capacità di collegare la realtà al sapere, dalle conoscenze che sono accumulo di informazioni”.
Il “fare” quindi è parte fondamentale dell’orientamento. L’alternanza scuola/lavoro, che si articola in stage in azienda, formazione in classe e colloqui individuali con esperti esterni, è uno strumento con grandi potenzialità, ma poco diffuso.
La comunità
La risposta all’interrogativo “cosa farà da grande?” dipende anche dalla società e dai modelli che propone e per questo a EDUCA si è riflettuto anche di economia, maestri di vita, legalità e gioco d’azzardo.
“L’essenziale è invisibile agli occhi dell’economia”, ha affermato Alessandra Smerilli docente all’Università Cattolica di Milano – e quello che l’economia non vede, distrugge. Vengono trascurati in particolare gli elementi relazionali poiché gli economisti parlano del desiderio di beni, ma quello che tutti avvertono come mancante è il desiderio di compagnia e di affetti, di figli”. Anche il lavoro per l’economia è solo una merce di scambio: ma il lavoro è vero e soddisfacente quando diventa dono di sé, quando va oltre il dovuto. Per rendere visibile ciò che l’economia non vede è necessario puntare sul lavoro come dono, sulle relazioni e sulla famiglia e sulla fiducia.
Secondo Stefano Bartolini dell’Università di Siena nella cultura del consumo, alimentata dalla pubblicità che è oggi il primo veicolo di orientamento educativo, si dà priorità al successo, agli acquisti e ai soldi. Gli studi dimostrano però che chi consuma di più e meno felice, più depresso, con uno stato di salute peggiore. Secondo Bartolini, l’Italia è malata di provincialismo culturale, mentre potrebbe puntare a esportare il proprio modello economico basato su imprese che partono dal tessuto sociale, luoghi dove contano i valori umani, dove non c’è finanza, ma fatica e creatività. Il filosofo Roberto Mancini ha potenziato questi concetti ricordando che in molti Paesi della terra ci sono popoli che chiedono giustizia, mentre in Italia siamo fermi, come paralizzati, e dovremmo invece assumerci la responsabilità di cambiare. “Una responsabilità che – secondo Mancini – nasce dalla vita, è libertà di poter fare una scelta. Non possiamo continuare ad aspettare un leader politico come se fosse un salvatore; sono le persone normali che possono cambiare le cose. Occorre smettere di usare il termine crisi: parola che indica insieme il fenomeno e la sua causa, nascondendo ciò che sta realmente accadendo. Servono maestri, ovvero profeti, che scrutano i segni dei tempi, vedendo il futuro negli occhi dei ragazzi e i loro desideri profondi”.