Non c’è giustizia ed equità
senza un’agricoltura sostenibile e condivisa
È il messaggio lanciato dal seminario sulla Custodia del Creato organizzato dalla CEI (Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro) a Roma. Dai relatori intervenuti un appello a investire su un nuovo sistema agricolo, estensivo e sobrio, che riscopra il ruolo delle famiglie e dei giovani, liberandosi dagli eccessi del mercato e del modello consumistico
Roma, 21 Marzo 2014 – Senza un’agricoltura sana, di qualità, condivisa e sostenibile sarà impossibile pensare di ridurre il divario tra quelli che già 47 anni fa nella enciclica Populorum Progressio, Paolo VI definiva “popoli dell’opulenza” e “popoli della fame” (era il 26 Marzo del 1967). Un divario che, lungi dall’essere colmato, è stato ulteriormente approfondito dagli eccessi del sistema consumista.
Il messaggio arriva dal seminario sulla Custodia del Creato “Agricoltura sostenibile per sfamare il pianeta” organizzato oggi a Roma dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI a Palazzo Rospigliosi: un’occasione per raccogliere le testimonianze di quanti, tra gli addetti ai lavori nel panorama dell’agricoltura italiana, stanno portando avanti esperienze utili a un cambio di paradigma. Obiettivo: passare da un sistema agricolo intensivo e concentrato nelle mani di pochi a un sistema estensivo, sostenibile dal punto di vista ambientale e utile a garantire il futuro alimentare delle future generazioni.
“Obiettivo dell’incontro odierno, che fa parte del percorso che il Gruppo di riflessione della Custodia del creato promosso da alcuni Uffici della CEI, è stato quello di offrire elementi per la vita comunità cristiane e aiutarle ad assumersi responsabilità anche sul piano sociale e culturale. – osserva Ernesto Diaco, vice direttore Servizio Nazionale per il progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana -“La Custodia del creato, con i temi connessi quali l’agricoltura e il consumo del cibo, ci porta a custodire l’umano, custodire l’altro e le relazioni, come ci invita a fare papa Francesco con il suo esempio e la sua parola”.
Per raggiungere tale risultato bisogna rinsaldare il legame tra terra e famiglie: “L’impresa familiare è vincente, redditizia, flessibile, innovativa e umana”, in grado di rispondere ai bisogni fondamentali di “sicurezza, qualità della vita e accessibilità dei beni comuni”, senza essere schiava delle logiche di mercato. È l’analisi di Stefano Masini, responsabile dell’area Ambiente di Coldiretti, che ha sottolineato come, soprattutto in questo momento di crisi di altri comparti industriali, “i giovani non abbandonano più le campagne, ma dedicano il loro talento a una nuova responsabilità sociale”. Migliaia di cittadini, artefici di un ritorno all’antico che sa di futuro. “L’economia sostenibile – ha proseguito Masini – risponde alle esigenze della persona e del bene comune senza contrastare con le richieste della tecnica. È una modalità intelligente di produzione, distribuzione e impiego delle risorse”. E, citando Adriano Olivetti, profetizza: “il grande, il mastodontico è il mostro della nostra epoca, destinato a scomparire per far spazio a forme di vita umana”.
Ma per agevolare la diffusione di un’agricoltura sostenibile e più umana che finalmente soppianti le forme disumanizzate delle colture intensive, è necessario anche ripensare il nostro modello di consumi, per evitare di dover continuare a produrre di più per proseguire nello spreco del cibo. “La soluzione è nel consumo consapevole, orientato, sostenibile” suggerisce Gianluca Brunori, docente di Scienze agroalimentari all’università di Pisa. “L’uso di molte delle tecnologie per aumentare la produzione, per lo più attraverso modificazioni genetiche, e l’incentivo alla grande distribuzione, generano danni alla salute ambientale e delle persone, nonché alla salute sociale e del lavoro”. Un problema sia ambientale, perché riduce drasticamente la biodiversità degli ecosistemi, sia sanitario per il “livello pericoloso di tossicità negli alimenti, per l’uso di conservanti e pesticidi chimici”. Ma anche occupazionale perché, come spiega Brunori “aumenta la disoccupazione nelle campagne”. La via d’uscita, è nella “riprogettazione dell’intero sistema alimentare e in consumi orientati”, utili alla salute umana e a una distribuzione equa dei prodotti.
Un ripensamento inevitabile anche per dare forza a quelle esperienze che, soprattutto nel Sud Italia, stanno cercando di liberare il mondo agricolo dal giogo della criminalità e della sopraffazione mafiosa. Dalla Calabria è intervenuto al seminario CEI Domenico Fazzari, esponente della Cooperativa sociale “Valle del Marro”, nata dall’azione congiunta dell’associazione Libera di Don Luigi Ciotti e il progetto Policoro, che sostiene una cultura e un impegno del lavoro d’ispirazione cristiana. Su 130 ettari di campi nella Valle del Marro, all’interno della Piana di Gioia Tauro, sui terreni confiscati alla criminalità organizzata, dopo un ventennio di abbandono, dal 2004 giovani calabresi coltivano ulivi, agrumi, ortaggi, soprattutto melenzane e peperoncino, con undici persone assunte a tempo indeterminato. “I nostri prodotti – racconta Fazzari – sono sani: perché sono biologici e perché sono il frutto di una imprenditoria socialmente sana, di chi si sporca le mani per dimostrare che si può cambiare per la legalità. In questi anni la ritorsione mafiosa si è fatta sentire. Ancor più della confisca, è la restituzione alla collettività a intaccare il potere mafioso”. Perché, conclude Fazzari “la lotta alla ‘ndrangheta è, prima che economica, una lotta culturale, e il cambiamento parte dal basso”. E il contrasto a forme di agricoltura illegale e mafiosa è, per un Paese come l’Italia, un tassello fondamentale per poter vincere la sfida di creare sviluppo custodendo al tempo stesso le bellezze del Creato.
Nel pomeriggio, gli interventi di don Walter Magnoni, Ufficio PSL Diocesi di Milano e Consigliere ecclesiastico Coldiretti di Milano e Luca Falasconi, ricercatore dell’Università di Bologna.
“Uno dei paradossi alimentari del nostro tempo è dato dal fatto che possiamo ‘contare’ circa un miliardo di persone che soffrono la fame ma circa un terzo del cibo che produciamo viene sprecato, nonostante sia ancora perfettamente consumabile ” – aggiunge Luca Falasconi – “Noi consumatori non diamo più valore al cibo, ciò è anche testimoniato dal fatto che non conosciamo ciò che mangiamo. Sprechiamo cibo anche perché non siamo consapevoli del fatto che ‘esiste’ lo spreco, ma anche perché abbiamo una grande abbondanza – 3700 kcal al giorno a testa – perché il cibo costa poco, solo il 18% del reddito è destinato ai consumi alimentari, perché è facile trovare cibo poiché siamo circondati da luoghi di consumo e vendita. Quale possibile soluzione? Re-imparare a dare valore al cibo anche attraverso l’acquisizione di informazioni su ciò che mangiamo ogni giorno. In tal modo non azzereremo il problema ma daremo un grande impulso a sensibilizzare l’opinione pubblica. ”
Per Greenaccord, Martina Valentini e Emanuele Isonio