San Miniato Il TEATRO DELLO SPIRITO
“Anima Errante”: una donna in attesa del figlio nella tragedia di Seveso
La denuncia per uno “sporco” caso di cronaca, non ancora del tutto chiarito (come tanti, troppi misteri italiani), il tema dell’aborto, la vita in bilico tra una religiosità utilitaristica e la fede autentica: c’è tutto questo in “Anima Errante”, lo spettacolo teatrale, scritto da Roberto Cavosi, per la regia di Carmelo Rifici, andato in scena in prima assoluta, giovedì 19 luglio (poi in replica fino al 23), nella storica Piazza del Duomo di San Miniato (Pisa), nell’ambito della 66a Festa del teatro, promossa dalla locale Fondazione Istituto Dramma Popolare, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio. Popolare questo teatro lo è davvero, ma nel senso più nobile del termine, ovvero rivolto a tutti, come ha sottolineato il neopresidente della Fondazione, Marzio Gabbanini. Un obiettivo raggiunto: lo dimostra la grande partecipazione di pubblico, con una media di 600 persone a serata. La gente ha voglia di riflettere, di non lasciarsi assopire. E infatti i contenuti sono tutt’altro che popolari, di forte impegno, sia civile – è il 1976, il reattore B dell’Icmesa, una fabbrica di profumi di Meda, comune della bassa Brianza, “erutta” diossina -, che “religioso”, nel senso che, nell’insistente richiesta di aiuto alla Madonna, questa pièce quasi assolve a una funzione sacrale. Tutto questo si coniuga nella protagonista, Sara (Maddalena Crippa), madre dolorosa, che vive il senso di colpa per un bambino che potrebbe non nascere, o nascere deforme. Il marito, Davide (Francesco Colella) è figura più insignificante, concentrato sul dolore che gli provocano le ustioni, su una casa che non c’è più, su una vita cambiata per sempre, per colpa altrui. Certo, sono tutte questioni reali, concrete, ma che lo anestetizzano, gli impediscono di andare oltre. Ha paura del “mostro”, ha paura che nasca “qualcosa” da non poter riconoscere come figlio, e chiede a Sara di considerare l’idea dell’aborto. Tra i coniugi ora c’è un muro d’incomprensione. La nube tossica colpisce il fisico, ma annebbia anche le coscienze, fino ad azzerare l’anima. Fatto sta che nulla sarà più come prima, né per loro, né per quella terra brianzola (Meda/Seveso). Forse una leggerezza, o forse l’incuria nel processo di lavorazione industriale. Sara e Davide questo pensano, così come questo pensavano all’epoca gli abitanti. La gente non sapeva, però vedeva: migliaia di capi di bestiame stramazzati al suolo, bambini e adulti ricoverati in ospedale con gravi forme di cloracne, e poi piaghe, sulle gambe, sulle braccia. E, davanti a una donna in gravidanza che chiede risposte, nessuno osa pronunciarsi. È stata solo incuria? No, c’è stato qualcosa di più insidioso. Come ha documentato Daniele Biacchessi, allora giovane cronista radiofonico, oggi vicecaporedattore di Radio 24. Nel suo libro si legge che la caserma Ederle di Vicenza era cliente di quello che si è rivelato essere il punto di produzione della diossina destinata alle bombe al napalm usate in Vietnam. Questo primo disastro ambientale ha dato il triste “la” a una lunga serie, da Chernobyl, all’amianto di Mestre, passando per la Farmaplant di Massa Carrara, fino a quell’Africa, per la quale la giornalista Ilaria Alpi ha perso la vita, che è diventata la discarica dell’Occidente.
L’altro tema importante è il viaggio, un viaggio che travalica il tempo e lo spazio. La valigia sempre pronta, fatta e disfatta più volte, carica e pesante. Sara è pronta a mettersi in cammino a fianco di un figlio che è suo, ma al tempo stesso non le appartiene. Dentro, un velo da sposa, simbolo di speranze disilluse, e un velo da lutto, perché nessuna madre può difendere per sempre i suoi figli. Lo sa bene la Vergine Maria, che Sara chiama, invoca con insistenza, da madre a madre: “Esigo un miracolo”. Ma neanche la Madonna ha potuto, e ora propone uno scambio di ruoli: un figlio per un figlio. Sara sogna di essere assunta in cielo, invece si ritrova sul Golgota, davanti a Cristo in croce. Come a dire che un figlio lo si mette al mondo, lo si ama più di qualsiasi altra cosa, lo si accompagna nelle esperienze, ma poi… lo si deve lasciare libero, e per ognuno il destino si deve compiere. Sara sceglie di tenere il bambino, perché “una madre non può rifiutare la croce”. E su questa croce che si assume, c’è posto per le sofferenze delle donne di ogni tempo.
Romina GobboThe text is available only in Italian