Greenaccord – Press & Communication Office

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#IMFgreenaccord2013 Le conclusioni di Andrea MasulloConclusions of #IMFgreenaccord2013

CONCLUSIONI
Andrea Masullo
Non so quanti di voi ricordano un famoso capolavoro della storia del cinema, del 1921, “Il monello”, “The kid” di Charlie Chaplin; nella scena chiave del film c’è un ragazzo che lancia sassi contro le finestre precedendo il passaggio del vetraio che prontamente li ripara. Ovviamente il monello ne ricava dal vetraio un compenso che gli consente di vivere; il suo non è un gioco da cattivo ragazzo, ma un mestiere. Questa scena è una perfetta metafora del consumismo. Il consumismo si regge sulla creazione di bisogni altrimenti inesistenti, ma provvede anche alla loro distruzione in tempi brevi, perché altri bisogni, trasformati in necessità li sostituiscano. Questo è il meccanismo che muove i mercati, un meccanismo che non ha più al centro la produzione di benessere ma la sua auto-rigenerazione perpetua. Ancora prima delle fabbriche di beni ci sono le fabbriche di bisogni, fabbriche di messaggi scagliati come sassi con i potentissimi mezzi di comunicazione moderni verso menti rese fragili ed addomesticate da stili di vita divenuti complessi e sempre più lontani dal benessere reale.
Ci è stato ricordato che attraverso questo meccanismo abbiamo già superato il livello di consumi che possiamo permetterci ed allora dobbiamo chiederci se questo ci ha resi più felici. Una buona economia non è quella che ci svuota la mente di idee e ce la riempie di bisogni, di promesse di felicità volutamente non mantenute per lasciar spazio a nuovi bisogni; “una buona economia – come ci ha detto Hinterberger- è quella che ci fa essere felici”.
William Rees ci ha ricordato quanto la produzione di questo benessere effimero sia per pochi ricchi, sempre meno persone che possono permetterselo, e quanto sia a danno di chi non può permetterselo e delle generazioni future. Per tenere pieni di oggetti scintillanti e spesso inutili i supermarket del mondo ricco, si fanno sempre più piene le discariche, sia quelle terrestri che marine, inclusa anche l’atmosfera dove riversiamo i gas che alterano il clima; e sempre più vuoti restano i mercati dei paesi poveri, che vengono depredati anche delle loro terre attraverso il “land grabbing” attuato da multinazionali per produrre mangimi per il bestiame, prodotti per bio-combustibili, se non per realizzare discariche a basso costo per i rifiuti tossici dei paesi ricchi. E’ un vero e proprio eco-colonialismo.
Gary Gardner e Robert Costanza ci hanno illustrato come il sistema consumista capitalista, ignorando la valutazione del capitale naturale, abbia superato il limite di crescita economica e sia entrato in una crescita anti-economica in cui i costi marginali superano i benefici, la produzione di benessere. La crescita quantitativa non è quindi né conveniente, né possibile, e questo non significa certo la fine del progresso dell’umanità. La storia dell’evoluzione  è una storia di 15 miliardi di anni di crescita qualitativa come noi possiamo facilmente vedere sul nostro pianeta, che con una forza inarrestabile per ben 5 volte, le cinque estinzioni di massa, ha saputo ripartire daccapo verso ulteriori orizzonti di perfezionamento, di crescita qualitativa. Dobbiamo allora rinunciare al mito di una crescita quantitativa che ci trascina verso un futuro prossimo sempre più difficile ed un futuro remoto addirittura disastroso, e riprendere il cammino di uno sviluppo qualitativo che rinunci al sovra-sfruttamento delle risorse ed allo spreco. Abbiamo parlato di rifiuti dove domina la parola smaltimento: smaltimento è sinonimo di distruzione e di spreco; la natura spreca solo un milionesimo di ciò che produce organizzando la materia in strutture biologiche grazie alla sola energia solare, e questo è quello che in milioni di anni si è accumulato nei giacimenti fossili di petrolio, carbone e metano. Noi abbiamo costruito il nostro sistema economico su questo tesoro accumulato in milioni di anni, dissipandolo rapidamente e lasciando il peso delle conseguenze alle generazioni future. Ora c’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo che sappia riciclare la materia come fa la natura, e continuare a produrre benessere progredendo in qualità e riducendo la quantità di materia e risorse che estraiamo dall’ambiente e trasformiamo in rifiuti inutilizzabili.
Se venisse sulla Terra un uomo da un altro pianeta, troverebbe uomini che passano gran parte del loro tempo a prendere risorse concentrate nelle miniere, trasformarle bruciando materie fossili, per disperderle dopo un breve tempo nell’ambiente avvelenando, la terra, l’acqua e l’aria; e per far ciò rendono la loro vita frenetica, stressata e triste, e in molti casi piena di difficoltà e sofferenze. Dubito fortemente che questo extraterrestre definirebbe “homo sapiens” la nostra specie. E’ questa la realtà che con una bellissima lezione di termodinamica ci ha illustrato Robert Ayres.
Abbiamo sentito che è possibile già oggi, attraverso la relazione di Mario Malinconico, costruire una economia dei biomateriali che possa svincolarci dall’era dei fossili e ricollegarci ai cicli naturali. Abbiamo sentito cosa si può fare oggi per attutire questi impatti con le migliori tecnologie di smaltimento e di riciclo, ma che tutto ciò, benché auspicabile non è la soluzione definitiva del problema, che non può essere trovata a valle del sistema consumista in quanto è il sistema stesso, i suoi obiettivi, le sue filiere di produzione e consumo, che vanno radicalmente ripensati se l’umanità vuol evitare esiti futuri catastrofici e continuare a costruire un futuro di benessere per tutti.
Allora una nuova immagine mi sembra ben rappresentativa della realtà del sistema consumista, che prendo dal Faust di Wolfgang Goethe. Faust rinuncia al suo sapere e alla sua moralità per godersi tutti i piaceri del mondo oggi, pur conoscendone le conseguenze: «Io mi voto alla vertigine, al godimento che confina col dolore. All’amore-odio, al dissidio che alla fine è ristoro. Questa mia anima, guarita dalla smania di sapere, non deve più chiudersi a nessuna sofferenza; voglio accogliere in me le gioie destinate all’intera umanità; voglio abbracciare col mio spirito le sue vette e i suoi abissi; ammucchiar nel mio petto tutto il suo bene e tutto il suo male, e così dilatare il mio io sino ai confini del suo io, per poi, com’essa, alla fine, naufragare»
Godermi tutto oggi, per me, non curandomi del resto del mondo e delle generazioni future.
Il Papa Francesco ci ha rivolto un pressante appello per sensibilizzare istituzioni politiche e cittadini sull’adozione di stili di vita più sobri ed orientati ad un benessere reale, liberando la nostra mente da desideri coatti orientati al consumo dal sistema economico. Ancora ieri sentivo il presidente del consiglio italiano usare la parola crescita 6 volte in 30 secondi di intervista, senza specificare alcuna qualità della crescita auspicata. La crescita indifferenziata ed illimitata è una assurdità che distrugge risorse essenziali alla vita e svuota l’uomo della sua umanità, della sua libertà di pensiero, plasmando e standardizzando i gusti e i desideri, attraverso il grande inganno di nascondere la faccia sporca del sistema: i rifiuti. Dice il Papa Francesco che il sistema consumista distrugge risorse e persone. Questo lo abbiamo visto fortemente reale attraverso le parole di Hector Castillo Berthier, che trasformatosi in “tacchino”, “el pavo”, come ci ha raccontato, da giovane ha vissuto la realtà drammatica del popolo dei raccoglitori clandestini che vivono in condizioni disumane nella discarica di Città del Messico.
L’incantesimo del consumismo che ha stregato l’intera umanità, un quarto ormai assuefatto alla abbondanza al punto che il solo pensiero di vederla limitata scatena una isteria collettiva di crisi, e i restanti tre quarti impegnati invece a sognare di poter accedere anch’essi a quel mondo perfetto e luccicante di imballaggi colorati, di forme originali, di luci e di specchi, di tecnologie sempre più perfette, non può permettersi di mostrare la realtà del volto disfatto dagli anni di Dorian Grey, volendo mostrare solo il volto bello e liscio della sua eterna giovinezza. E allora, come il protagonista del famoso romanzo di Oscar Wilde nasconde in soffitta il suo vero volto ritratto su una tela, noi nascondiamo i rifiuti sotto terra, a volte in modo lecito, ma spesso criminale, o facciamo finta di credere che certe tecnologie, come un buco nero, li facciano magicamente sparire senza conseguenze. Eppure tutti sanno che, per tenere sempre pieni e rinnovati gli scaffali del supermarket Terra, stiamo accumulando volumi immensi di rifiuti. Guai a dirlo! Si romperebbe l’incantesimo e qualcuno potrebbe cominciare a porsi scomode domande sull’utile e l’inutile, sul bene e sul male…il consumismo ci vuole tutti stupidamente docili e obbedienti. Sta a voi giornalisti raccontare questa scomoda verità

CONCLUSIONIAndrea MasulloNon so quanti di voi ricordano un famoso capolavoro della storia del cinema, del 1921, “Il monello”, “The kid” di Charlie Chaplin; nella scena chiave del film c’è un ragazzo che lancia sassi contro le finestre precedendo il passaggio del vetraio che prontamente li ripara. Ovviamente il monello ne ricava dal vetraio un compenso che gli consente di vivere; il suo non è un gioco da cattivo ragazzo, ma un mestiere. Questa scena è una perfetta metafora del consumismo. Il consumismo si regge sulla creazione di bisogni altrimenti inesistenti, ma provvede anche alla loro distruzione in tempi brevi, perché altri bisogni, trasformati in necessità li sostituiscano. Questo è il meccanismo che muove i mercati, un meccanismo che non ha più al centro la produzione di benessere ma la sua auto-rigenerazione perpetua. Ancora prima delle fabbriche di beni ci sono le fabbriche di bisogni, fabbriche di messaggi scagliati come sassi con i potentissimi mezzi di comunicazione moderni verso menti rese fragili ed addomesticate da stili di vita divenuti complessi e sempre più lontani dal benessere reale.Ci è stato ricordato che attraverso questo meccanismo abbiamo già superato il livello di consumi che possiamo permetterci ed allora dobbiamo chiederci se questo ci ha resi più felici. Una buona economia non è quella che ci svuota la mente di idee e ce la riempie di bisogni, di promesse di felicità volutamente non mantenute per lasciar spazio a nuovi bisogni; “una buona economia – come ci ha detto Hinterberger- è quella che ci fa essere felici”.William Rees ci ha ricordato quanto la produzione di questo benessere effimero sia per pochi ricchi, sempre meno persone che possono permetterselo, e quanto sia a danno di chi non può permetterselo e delle generazioni future. Per tenere pieni di oggetti scintillanti e spesso inutili i supermarket del mondo ricco, si fanno sempre più piene le discariche, sia quelle terrestri che marine, inclusa anche l’atmosfera dove riversiamo i gas che alterano il clima; e sempre più vuoti restano i mercati dei paesi poveri, che vengono depredati anche delle loro terre attraverso il “land grabbing” attuato da multinazionali per produrre mangimi per il bestiame, prodotti per bio-combustibili, se non per realizzare discariche a basso costo per i rifiuti tossici dei paesi ricchi. E’ un vero e proprio eco-colonialismo.Gary Gardner e Robert Costanza ci hanno illustrato come il sistema consumista capitalista, ignorando la valutazione del capitale naturale, abbia superato il limite di crescita economica e sia entrato in una crescita anti-economica in cui i costi marginali superano i benefici, la produzione di benessere. La crescita quantitativa non è quindi né conveniente, né possibile, e questo non significa certo la fine del progresso dell’umanità. La storia dell’evoluzione  è una storia di 15 miliardi di anni di crescita qualitativa come noi possiamo facilmente vedere sul nostro pianeta, che con una forza inarrestabile per ben 5 volte, le cinque estinzioni di massa, ha saputo ripartire daccapo verso ulteriori orizzonti di perfezionamento, di crescita qualitativa. Dobbiamo allora rinunciare al mito di una crescita quantitativa che ci trascina verso un futuro prossimo sempre più difficile ed un futuro remoto addirittura disastroso, e riprendere il cammino di uno sviluppo qualitativo che rinunci al sovra-sfruttamento delle risorse ed allo spreco. Abbiamo parlato di rifiuti dove domina la parola smaltimento: smaltimento è sinonimo di distruzione e di spreco; la natura spreca solo un milionesimo di ciò che produce organizzando la materia in strutture biologiche grazie alla sola energia solare, e questo è quello che in milioni di anni si è accumulato nei giacimenti fossili di petrolio, carbone e metano. Noi abbiamo costruito il nostro sistema economico su questo tesoro accumulato in milioni di anni, dissipandolo rapidamente e lasciando il peso delle conseguenze alle generazioni future. Ora c’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo che sappia riciclare la materia come fa la natura, e continuare a produrre benessere progredendo in qualità e riducendo la quantità di materia e risorse che estraiamo dall’ambiente e trasformiamo in rifiuti inutilizzabili. Se venisse sulla Terra un uomo da un altro pianeta, troverebbe uomini che passano gran parte del loro tempo a prendere risorse concentrate nelle miniere, trasformarle bruciando materie fossili, per disperderle dopo un breve tempo nell’ambiente avvelenando, la terra, l’acqua e l’aria; e per far ciò rendono la loro vita frenetica, stressata e triste, e in molti casi piena di difficoltà e sofferenze. Dubito fortemente che questo extraterrestre definirebbe “homo sapiens” la nostra specie. E’ questa la realtà che con una bellissima lezione di termodinamica ci ha illustrato Robert Ayres.Abbiamo sentito che è possibile già oggi, attraverso la relazione di Mario Malinconico, costruire una economia dei biomateriali che possa svincolarci dall’era dei fossili e ricollegarci ai cicli naturali. Abbiamo sentito cosa si può fare oggi per attutire questi impatti con le migliori tecnologie di smaltimento e di riciclo, ma che tutto ciò, benché auspicabile non è la soluzione definitiva del problema, che non può essere trovata a valle del sistema consumista in quanto è il sistema stesso, i suoi obiettivi, le sue filiere di produzione e consumo, che vanno radicalmente ripensati se l’umanità vuol evitare esiti futuri catastrofici e continuare a costruire un futuro di benessere per tutti. Allora una nuova immagine mi sembra ben rappresentativa della realtà del sistema consumista, che prendo dal Faust di Wolfgang Goethe. Faust rinuncia al suo sapere e alla sua moralità per godersi tutti i piaceri del mondo oggi, pur conoscendone le conseguenze: «Io mi voto alla vertigine, al godimento che confina col dolore. All’amore-odio, al dissidio che alla fine è ristoro. Questa mia anima, guarita dalla smania di sapere, non deve più chiudersi a nessuna sofferenza; voglio accogliere in me le gioie destinate all’intera umanità; voglio abbracciare col mio spirito le sue vette e i suoi abissi; ammucchiar nel mio petto tutto il suo bene e tutto il suo male, e così dilatare il mio io sino ai confini del suo io, per poi, com’essa, alla fine, naufragare»Godermi tutto oggi, per me, non curandomi del resto del mondo e delle generazioni future.Il Papa Francesco ci ha rivolto un pressante appello per sensibilizzare istituzioni politiche e cittadini sull’adozione di stili di vita più sobri ed orientati ad un benessere reale, liberando la nostra mente da desideri coatti orientati al consumo dal sistema economico. Ancora ieri sentivo il presidente del consiglio italiano usare la parola crescita 6 volte in 30 secondi di intervista, senza specificare alcuna qualità della crescita auspicata. La crescita indifferenziata ed illimitata è una assurdità che distrugge risorse essenziali alla vita e svuota l’uomo della sua umanità, della sua libertà di pensiero, plasmando e standardizzando i gusti e i desideri, attraverso il grande inganno di nascondere la faccia sporca del sistema: i rifiuti. Dice il Papa Francesco che il sistema consumista distrugge risorse e persone. Questo lo abbiamo visto fortemente reale attraverso le parole di Hector Castillo Berthier, che trasformatosi in “tacchino”, “el pavo”, come ci ha raccontato, da giovane ha vissuto la realtà drammatica del popolo dei raccoglitori clandestini che vivono in condizioni disumane nella discarica di Città del Messico. L’incantesimo del consumismo che ha stregato l’intera umanità, un quarto ormai assuefatto alla abbondanza al punto che il solo pensiero di vederla limitata scatena una isteria collettiva di crisi, e i restanti tre quarti impegnati invece a sognare di poter accedere anch’essi a quel mondo perfetto e luccicante di imballaggi colorati, di forme originali, di luci e di specchi, di tecnologie sempre più perfette, non può permettersi di mostrare la realtà del volto disfatto dagli anni di Dorian Grey, volendo mostrare solo il volto bello e liscio della sua eterna giovinezza. E allora, come il protagonista del famoso romanzo di Oscar Wilde nasconde in soffitta il suo vero volto ritratto su una tela, noi nascondiamo i rifiuti sotto terra, a volte in modo lecito, ma spesso criminale, o facciamo finta di credere che certe tecnologie, come un buco nero, li facciano magicamente sparire senza conseguenze. Eppure tutti sanno che, per tenere sempre pieni e rinnovati gli scaffali del supermarket Terra, stiamo accumulando volumi immensi di rifiuti. Guai a dirlo! Si romperebbe l’incantesimo e qualcuno potrebbe cominciare a porsi scomode domande sull’utile e l’inutile, sul bene e sul male…il consumismo ci vuole tutti stupidamente docili e obbedienti. Sta a voi giornalisti raccontare questa scomoda verità

CONCLUSIONS OF THE X GREENACCORD INTERNATIONAL FORUM

Andrea Masullo

I wonder how many of you remember a masterpiece in the history of cinema, from 1921, Charlie Chaplin’s “The kid”; in the key scene of the movie there is a young boy throwing stones at a window running ahead of the glazier promptly repairing the windows. Obviously the kid is compensated by the glazier, helping him survive; it is not a naughty boy’s trick, but it becomes a job. This scene is a perfect metaphor of consumerism. Consumerism is based on the fabrication of needs otherwise nonexistent, but also provides a short-term life of such needs so that they can be replaced by more needs, transformed into necessities. This is the mechanism that runs the markets, a market who does not satisfy needs, but is centered on a continuous regeneration of needs. Ahead of factories producing goods, we have factories producing needs, factories producing messages thrown like stones with the help of powerful communication means, against minds made fragile and controlled by lifestyles and habits so complex they are now far away from a real wellbeing.

They have reminded us that with this mechanism we have already overcome the level of consumption that we can allow ourselves. Yet has this made us happier? A good economy is not that made to empty our heads of ideas to fill it with needs, and promises of happiness voluntarily broken so that new needs are generated; “a good economy – as Hinterberger here told us – is an economy that really makes us happy”.

William Rees has reminded us how much the production of this evanescent wellness only benefits few rich people, lesser and lesser people can afford it, and how damaging it is for those who can not afford it and for the future generations. To constantly refill the rich world’s supermarkets with things shiny and often useless, wastelands grow wider and wider, both on earth and in the seas, including the atmosphere filled with gases altering the climate; and emptier and emptier remain the markets of poor countries, even ransacked of their land by multinationals practice “land grabbing”, to produce animal feed, bio-combustibles, or even worse, for disposal of the rich country’s toxic waste. That is what we would call eco-colonialism.

Gary Gardner and Robert Costanza have shown us how a capitalist and consumerist system, by ignoring and failing to hold in consideration the natural capital, has passed beyond the limit of economic growth and has entered into an anti-economic growth, in which marginal costs have overcome the benefits, the creation of well-being. A further quantitative growth is thus neither convenient, nor possible, yet it does not mean that we are at the end of human progress. Evolution is 15 billion years old and it is a history of years of qualitative growth, as we can easily know from observing our planet, which in an overwhelming strenght has lived five mass extinctions, restarting itself towards new horizons of perfection and qualitative growth. We then have to renounce to the myth of quantitative growth which drags us into a near future of struggles and a long term future of disasters, and restart from walking in a new path of qualitative development which can renounce to over-exploitation and waste of resources.

We have talked about waste by repeating the word ‘disposal’: disposal is a synonym of destruction and wastefulness; nature wastes only one millionth of what it produces organizing the matter in biological structures by solar energy, accumulating it during millions years in oil, carbon and gas fields. We have built our economic system upon this treasure accumulated in millions and millions of years, dispersing it rapidly and leaving the weight of its consequences to future generations. We now absolutely need a new model of development which can recycle the matter just like nature does, and can produce wealth by progressing in quality and by reducing the quantity of material and resources we extract from the environment and transform into not-reusable waste.

If a man came to the Earth from another planet, he would find men spending most of their time to take resources concentrated in mines, transform them by burning fossil fuels, to then diffuse them after a very short time back into the environment and poisoning the earth, the oceans and the atmosphere; and to do so these people make their life frantic, stressed and sad, and in many case full of struggles and sufferance. I strongly doubt that this extra-terrestrial would define “homo-sapiens” our species. This is the scene illustrated with a beautiful lecture on thermo-dynamics by Robert Ayres.

We have come to know, through Mario Malinconico’s report, that we could already start now to build an economy of bio-materials that would unleash us from the fossil fuel era and reconnect us to natural cycles. We have listened to what is truly possible, now and right away, to soften our impact on the environment with the best disposal and recycling technologies. But all this, though highly desirable, is not the definitive solution to the problems, which cannot be found at the end of economic processes within the consumerist system because it is that same system, its objectives, its lines of production and consumption, which need to be radically rethought in order to avoid a catastrophic future for our humanity and to continue building a future of wellbeing for all of us.

So a new image which I think suiting to representing the consumerist system, is found in Wolfgang Goethe’s Faust. Faust renounces to his knowledge and to his morality to fully enjoy all the pleasures of today’s world, even though he is aware of the consequences: «I’ll take the frenzy, pain-filled elation,-Loving hatred, enlivening frustration.-Cured of its urge to know, my mind-In future, will not hide from any pain,-And what is shared by all mankind,-In my innermost self, I’ll contain:-My soul will grasp the high and low,-My heart accumulate its bliss and woe,-So this self will embrace all theirs,-That, in the end, their fate it shares.»

Enjoy everything, just for myself, careless of the rest of the world and of the future generations.

Pope Francis has sent us a strong plea to sensitize the political institutions and the citizens to a more sober lifestyle, oriented towards a true well-being, freeing our mind from compulsory desires consume-oriented by the economic system. Still yesterday I heard the Italian prime minister use the word “growth” six times in a 30 seconds interview, without specifying any quality of the growth desired. An undifferentiated and unlimited growth is an absurdity that destroys essential resources and empties man of his humanity, of his freedom of thought, forging and standardizing tastes and desires, through the great deceit of hiding the dark side of the system: its garbage and waste. Pope Francis says that the consumerist system destroys resources and people. We have seen this as strongly real through the words of Hector Castillo Berthier, who transformed himself in a “turkey”, “el pavo”, as he told us himself, and as a young man personally lived the dramatic situation of the illegal waste pickers living in inhumane conditions in the landfill of Mexico City.

The spell of consumerism which has bewitched the entire mankind – one forth completely drugged by abundance to the point that only to think that it could be slightly reduced, produce a collective hysteria outburst, and the remaining three quarters dreaming of being able to access that abundance and the perfect world of shiny objects and colorful packaging, of original design, of lights and mirrors, of perfect technologies – cannot afford to show its true aspect, an old worn out face like Dorian Grey’s, having to show only the most beautiful and smooth side of its eternal youth. And so, like the protagonist of Oscar Wilde’s famous novel hides his true face on a portrait cast away in the attic, we hide our garbage under the ground, sometimes legally, but often criminally, or we make believe that some technology, just like a black hole, can magically make it all disappear without consequence. Yet everyone knows that to always keep the department stores full and well stocked, we are accumulating immense amounts of garbage. But do not speak of it! We would break the spell and someone might start asking uncomfortable questions on what is useful and what useless, about good and bad…consumerism needs to keep everyone stupidly tame and obedient. It is up to you journalist unveil and tell the story of this uncomfortable truth.

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