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Greenaccord: Bioarchitettura e gestione attiva del territorio, due strumenti per conciliare uomo e spazio naturaleGreenaccord: Bioarchitettura e gestione attiva del territorio, due strumenti per conciliare uomo e spazio naturale

Agronomi, architetti, costruttori, amministratori pubblici si confrontano nella seconda giornata di lavori del Forum dell’Informazione cattolica. Obiettivo: diffondere politiche urbanistiche sostenibili con la tutela delle risorse naturali.

Pistoia, 11 Giugno 2011 – Lo spazio da costruire, lo spazio da difendere. La mattinata di lavori del secondo giorno del Forum dell’Informazione cattolica organizzato dall’associazione Greenaccord Onlus a Pistoia, è stata tutta incentrata sulla bioedilizia e sulle forme più avanzate di gestione sostenibile del territorio.

Economisti, architetti, imprenditori edili, agronomi, pubblici amministratori. Competenze differenti, ma tutti concordano su un punto: lo spazio antropizzato non è infinito e non si può pensare quindi di continuare a consumarlo all’infinito. L’unica strada percorribile è quindi quella di sviluppare strumenti che rendano compatibile la presenza umana con lo spazio ambientale circostante, riqualificando i centri urbani, risparmiando le aree ancora non antropizzate ed esaltando i luoghi che possano inoltre incrementare gli spazi sociali ad uso collettivo.

Ed è significativo che sia proprio il presidente dell’Ance Toscana (Associazione costruttori edili), Alberto Ricci, a sottolineare come “occorra fermare la spinta cementificatrice senza criterio né fili conduttori” che caratterizza ormai l’Italia da vari decenni. “Per fare vera riqualificazione non si deve intervenire su edifici singoli, ma su interi quartieri, come da tempo si fa negli altri Paesi europei”, spiega Ricci. Ma per farlo, serve la presenza di due categorie di soggetti: committenze informate e maestranze qualificate. “Senza di loro, un cambio di rotta è difficilmente avviabile”.

Per avviarsi effettivamente sulla via del costruire sostenibile è però necessario anche abbandonare un’idea di architettura basata più sul nome dell’architetto che sulla sua compatibilità con l’ambiente. “l’architettura da archistar è spesso sinonimo di aggressione dei luoghi, di spersonalizzazione dello spazio, di oggetto che trasuda l’ego di chi l’ha pensato ma trascura invece il collegamento con l’ambiente in cui è inserito e le necessità della popolazione che deve vivere quell’oggetto urbano”, osserva Dora Francese, docente di Tecnologie dell’Architettura all’università Federico II di Napoli. “Dobbiamo invece diffondere un ritorno all’architettura naturale, che ritrovi il legame forte con il “genius loci”, il colloquio con la natura, che sappia ridurre il proprio impatto sugli ecosistemi e la propria impronta ecologica. L’architettura deve avere grande attenzione alle esigenze dell’utenza, senza mai dimenticare gli aspetti sociali e psicologici connessi con gli spazi urbani. Il valore di un oggetto architettonico è nella sua capacità di creare una relazione con la popolazione e i luoghi in cui entra in relazione”.

Tutelare uno spazio sociale non significa solo costruire bene. Anzi: il primo impegno dev’essere quello di gestire in modo sostenibile un territorio, evitando sprechi e consumi inutili. “Nell’ultimo mezzo secolo, l’uomo ha modificato gli ecosistemi più rapidamente e più profondamente che in qualsiasi altro periodo passato”, ha spiegato Marco Marchetti, agronomo e direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio dell’università del Molise. “Eppure l’acqua, il legno, le altre risorse naturali sono essenziali per il benessere collettivo e il loro valore, anche economico, viene ormai riconosciuto in ambito scientifico, sociale e da parte dell’amministrazione. Una condizione essenziale, questa, perché si attivino politiche in favore della conservazione della biodiversità e dei servizi eco sistemici assicurati dagli habitat naturali. Ecco perché servono strumenti di pianificazione che considerino le potenzialità del territorio, le esigenze delle popolazioni che lo abitano, per definire le linee di indirizzo di gestione”.

Dal mondo accademico, le esigenze di riduzione degli impatti umani sul territorio iniziano a trasferirsi a livello di decisori pubblici. In Emilia Romagna, da tempo si sta sviluppando un programma di gestione sostenibile del territorio. Ma le sfide non sono poche: “entro dieci anni, la nostra popolazione regionale crescerà di oltre 400mila unità, pari al 12-15% del totale. Aumenteranno le classi d’età e le presenze straniere. La sfida è rendere compatibile questa dinamica con le politiche di tutela ambientale”, spiega Enrico Cocchi, direttore generale della regione Emilia Romagna. “Gestione sostenibile di un territorio significa in primo luogo usare al meglio ciò che abbiamo. Quindi il nostro compito è evitare infrastrutture inutili, ristrutturare invece l’esistente e riconoscere il valore delle produzioni agricole, per impedire la conversione dei terreni. La Regione ha un ruolo d’indirizzo, di governo, ma anche di verifica e controllo successivo delle politiche degli enti locali. Solo così si possono avviare politiche di amministrazione virtuosa”. Ma, per essere efficace, la strategia richiede il coinvolgimento della popolazione: “qualsiasi progetto, anche di riqualificazione architettonica, deve essere sviluppato attraverso un processo di partecipazione pubblica. Servono scelte condivise, per concordare piani che siano richiesti e accettati dai cittadini”.

Tutte le sessioni di lavoro sono visibili da tutti in diretta streaming dal sito www.greenacanal.eu.Text is available only in Italian

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