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Clima che cambia: un piano da 4,5 miliardi di dollari per l’acqua in Africa

Lo annuncia la Banca Mondiale al Forum Greenaccord. Non c’è settore produttivo che può sentirsi al riparo dai rischi connessi al surriscaldamento globale. Adattarsi è cruciale, come investire in efficienza energetica. E i danni ambientali rischiano di mettere in ginocchio il made in Italy.

Rieti, 20 novembre 2015 – Dall’agricoltura alle imprese fino alla finanza mondiale: la sfida lanciata dai cambiamenti climatici costringe tutti i settori a correre ai ripari per costruire un’alternativa sostenibile nel giro di pochi anni. A confermare questo scenario sono intervenuti esperti di economia, impresa e agricoltura, intervenuti nella giornata conclusiva del XII Forum Internazionale per la Salvaguardia della Natura organizzato da Greenaccord a Rieti. L’agricoltura è stata la prima a fare i conti con i danni ambientali e rappresenta un presidio del territorio che può ricoprire un ruolo fondamentale in termini di cura e prevenzione della Terra. La filiera agricola nel corso degli ultimi anni ha subito danni devastanti dai cambiamenti climatici e “se non saranno introdotte misure sostenibili prodotti tipici del made in Italy, come il Chianti, potrebbero cambiare sapore nel giro di pochi anni”. A lanciare l’allarme è Francesco Ciancaleoni, rappresentante del settore area, ambiente e territorio di Coldiretti, che ha sottolineato la volontà del settore agricolo di “non sottrarsi alle proprie responsabilità”. L’agricoltura, ha ricordato l’esperto della Coldiretti, “produce solo il 7% delle emissioni nazionali” e questa tendenza a “inquinare poco” si riflette anche nel trend europeo che segna un -16% di emissioni nel periodo 1990-2012. Ma molto ancora si può fare, se è vero che proprio la filiera agricola svolge un ruolo fondamentale in termini di assorbimento di CO2, “nonostante questa funzione non venga valorizzata in termini economici dal nostro Paese”. Per segnare un cambio di passo, quindi, “occorre un rafforzato protagonismo nei fenomeni di mitigazione climatica attraverso la valorizzazione dell’assorbimento carbonio ma anche, ad esempio, un forte impulso per la gestione dell’agroenergia”. Sostegno all’agricoltura a km “0”, ma anche investimenti per l’adattamento ai nuovi scenari climatici che nel giro di pochi anni potrebbero danneggiare gravemente il 55% dei raccolti nell’area sub-sahariana dell’Africa.

Numeri impressionanti, come ha ricordato Raffaello Cervigni, economista della Banca Mondiale ed esperto di Africa, una della regioni del Pianeta più a rischio, visto l’alto tasso di povertà che entro il 2030 dovrebbe contare oltre 100 milioni di persone indigenti. Proprio sul Continente nero, ha spiegato Cervigni, Banca Mondiale ha preparato un business plan in vista della Conferenza Mondiale sul Clima di Parigi. Un piano di investimenti strutturali pari a 4,5 mld di dollari destinati a tutelare il potenziale idrico dell’Africa, il cui 80% risulta ancora non utilizzato. Ma anche interventi per favorire un’agricoltura più smart, capace di aumentare la produzione di alimenti resistenti ai cambiamenti climatici e che producono meno emissioni. Ma il progetto più ambizioso, ha concluso l’economista di Banca Mondiale “è portare entro il 2020 ad un gigawatt la produzione di energia solare nel continente africano”. Investimenti ma soprattutto grande attenzione alla cooperazione per cercare di governare insieme la Casa Comune, per salvaguardare e migliorare in modo sostenibile le condizioni di vita minacciate dai cambiamenti climatici.

Il tema è stato affrontato da Alessandro Tavoni, economista presso London School of Economics and Political Science, che ha lanciato un appello in vista della COP21 di Parigi: “non riusciremo a risolvere il problema in modo economico se non ci saranno leggi che obbligano i Paesi ad adottare prassi realmente sostenibili sul consumo energetico”. Un pessimismo riscontrato anche da un sondaggio condotto dalla London School sulle aspettative dei delegati e degli scienziati che parteciperanno alla prossima Conferenza sul Clima. Solo uno su dieci si dice possibilista, ma, ha concluso Tavoni, “per salvare la Terra ci vogliono incentivi e non solo un accordo”.

Incentivi ma anche una rivoluzione culturale in grado di invertire gli obiettivi del mercato e gli strumenti per ottenere il profitto che può assolutamente arrivare anche da investimenti in campo di efficienza energetica. A sottolineare questo aspetto è stato Claudio Ferrari, Presidente di Federesco: l’efficienza energetica “deve essere vista come un’opera infrastrutturale e strategica, un’esperienza autoliquidante che ha bisogno tuttavia di una finanza iniziale”. L’attuale sistema energetico mondiale “comporta uno spreco di risorse energetiche e quindi economiche”, ha spiegato Ferrari, sottolineando come “su 100 unità di combustibile prelevato, oltre il 90% dell’energia viene persa lungo la filiera dagli impianti di produzione, nel trasporto, nelle fasi di pompaggio e a causa degli strozzamenti della rete”. Numeri non più sostenibili. Per questo motivo quello dell’efficienza energetica “è il settore economico a livello mondiale con più potenzialità di sviluppo nei prossimi 20 anni”. Un settore autofinanziabile ed estremamente remunerativo che ha bisogno però di essere sostenuto attraverso la creazione di “un fondo di garanzia, una grande campagna culturale e informativa e una Pubblica Amministrazione che per prima inizi a dare il buon esempio”.

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