Di Andrea Masullo
Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse [Genesi 2,15].
Ma cosa era, dove era e che fine ha fatto quel giardino meraviglioso che sembra che l’uomo abbia perso per sempre? Cerchiamo di scoprirlo.
Quante volte ci è capitato di alzare gli occhi di notte e restare ammirati di fronte al cielo stellato! All’inizio ci appaiono le stelle più grandi e il cielo ci appare piatto come la calotta sferica che fino a pochi secoli fa i nostri antenati credevano che fosse. Ma continuando a fissarlo ce ne appaiono altre più piccole…e poi altre ancora…e cominciamo noi, sulla nostra Terra, a sentirci piccoli di fronte alla grandiosità dell’universo. Tutto questo secondo la scienza ha origine 15 miliardi di anni fa con una gigantesca quanto misteriosa esplosione di energia e materia. Nulla sa dirci la scienza di cosa fosse prima, ma ci dice che pochi istanti dopo l’esplosione tutta la materia che poi ha dato origine alle stelle ed ai pianeti era contenuta in uno spazio tanto piccolo che nemmeno il più potente microscopio oggi sarebbe in grado di vederlo. Per dare una idea della enormità di questa esplosione basti pensare che dopo un istante infinitesimo, misurabile in miliardesimi di miliardesimi di secondo, l’universo già aveva un diametro di miliardi di chilometri. Secondo la scienza, dal nulla senza spazio e senza tempo, con questo big-bang appare un universo in continua trasformazione e quindi ha origine il tempo. I fisici ci dicono che l’esplosione che avvenne per motivi sconosciuti in quell’istante originario produsse un grande flusso di energia e materia che ancor oggi possiamo riscontrare nell’universo. Una energia enorme che si disperde e si raffredda verso un esito finale di dispersione che non consente più alcuna trasformazione. Dove nessuna trasformazione è più possibile il tempo si ferma di nuovo in un eterno presente. Il mondo viene dall’eternità per tornare all’eternità.The text is available only in Italia
Ma in questo cammino che ci appare senza uno scopo, inizia presto un percorso inverso. La materia formata inizialmente da particelle elementari, grazie al flusso di energia in cui è immersa, inizia ad aggregarsi formando strutture sempre più complesse in grado di intercettare ed utilizzare quantità sempre maggiori di quella energia per ulteriori trasformazioni. Si formano atomi, molecole, aggregazioni di molecole…giganteschi agglomerati di materia come le stelle e i pianeti…fino a quando, 3 miliardi e mezzo di anni fa, negli oceani che coprivano gran parte di un piccolissimo pianeta, appaiono le prime forme di materia in grado di riprodurre la propria struttura organizzata e di muoversi in cerca del nutrimento di cui hanno bisogno; sul pianeta Terra appaiono le prime forme di vita: i batteri. La materia vivente inizia un nuovo cammino generando nuova vita, sempre più complessa ed adatta a nuovi spazi e nuove conquiste; fino alla straordinaria diversità che oggi ammiriamo nella biosfera. Ed ancora oggi il nostro pianeta pullula in ogni luogo di esseri piccoli e grandi, instancabilmente protesi a produrre situazioni più favorevoli a generare nuova vita. Ne dubitate? Guardatevi attorno e dovunque poserete l’occhio scoprirete un qualche essere intento a modificare l’ambiente in cui vive. Perché lo fa? Perché un ape anziché passare la sua breve vita in un prato fiorito, procurandosi il cibo per sé, si logora giorno dopo giorno per produrre miele per migliaia di larve cha la attendono nell’alveare? Allora ci appare una nuova misteriosa verità: in un universo che va spegnendosi la materia spontaneamente si organizza a formare la vita in una miriade di forme e di specie che operano consapevolmente delle continue scelte nell’interesse collettivo, contribuendo tuttavia a complesse catene di scambio di risorse naturali fra vita vegetale, animale e batterica, organizzandosi in maniera sempre più complessa perché nulla vada sprecato ed ogni potenzialità venga colta.
Allora la storia dell’Universo ci appare non soltanto come una sequenza di fatti determinati dalle leggi naturali, ma una storia piena di esperienze, di valori, di significati; ogni sua componente, noi compresi, appare orientata all’emergere di una creatività consapevole e senza fine che continua ancora oggi e solo parzialmente può essere spiegata dalle leggi della fisica e della biologia.
Questa è l’ecologia, ovvero l’economia della natura, una economia che ben interpretando il significato etimologico di questa parola, dal verbo greco οiκonomew (oiconomèo) amministro la casa, ne distribuisco i beni fra i suoi abitanti, non produce scarti, ma ogni specie compete in un regime equo di scambi che non vede né vincitori né vinti, né sfruttatori né sfruttati. Una economia in cui non esiste accumulo di ricchezze se non per le necessità stagionali di breve periodo. Si tratta di una competizione cooperativa vincolata al principio fondamentale che il benessere di una specie non può essere a detrimento di altre, perché tutti sono vincolati ad un complesso meccanismo di scambi reciproci, il cui buon funzionamento è l’unica garanzia di sopravvivenza di ciascun essere vivente.
L’Eden è il frutto del dispiegamento di quella creatività che fin dall’origine pervade l’Universo e spinge tutti gli esseri viventi su un unico cammino di perfezionamento; tutti insieme legati da un unico destino, vincolati ad una unica missione. L’Eden era ed è l’intero creato.
26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. [Matteo 6, 26-33]
Questa è la terra che il Signore ha creato per noi, la terra ospitale che fa dire al salmista “non manco di nulla”; c’è tutto il necessario per tutti, in modo che ciascuno possa dedicarsi prioritariamente alla ricerca del regno di Dio e della sua giustizia.
L’Eden non è andato perduto; è l’uomo che, perso in un delirio di onnipotenza che lo fa sentire creatore di un suo mondo, non riesce più a riconoscerlo.
L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio. Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui. [Giovanni Paolo II, Centesimus Annus]
Oggi la nostra Terra ci appare come un giardino gravemente minacciato, in gran parte devastato, la sua recinzione divelta, le sue siepi calpestate, ad opera del suo stesso custode. L’uomo, guidato solo dal desiderio di cogliere per sé e subito le opportunità dategli dallo sviluppo della scienza e della tecnica, sembra aver dimenticato la missione affidatagli dal suo Creatore e si è fatto egli stesso creatore di un suo mondo, guidato da valori continuamente adattati alle opportunità del momento. E così l’uomo da custode diviene un tiranno avido e insaziabile, fino all’odierna aberrante esasperazione del consumismo, stadio ultimo della degenerazione del materialismo economico. L’obiettivo del sistema economico non è ormai più il progresso umano, ma l’accumulo di ricchezza.
L’uomo esce per sua scelta dall’Eden, rinnegando la sua economia di scambio, di reciprocità, di rispetto e di cooperazione ed abbraccia una economia fondata sulla competizione esasperata fra gli individui, fra i popoli e fra le nazioni. L’individualismo edonistico gli fa dimenticare di essere parte della biosfera, che la sua sopravvivenza dipende da essa e che le sofferenze che imprime al creato finiranno per minacciare la sua stessa vita. Da custode e parte del creato interpreta il privilegio del dominio datogli da Dio come diritto a saccheggiare, trasformare e distruggere a suo piacimento ogni angolo del mondo. Tutto legge e vede in chiave utilitaristica soddisfacendo i suoi desideri di oggi senza preoccuparsi del domani.
Nell’antica grecia, oltre alla parola economia si usava anche un’altra parola per indicare l’azione dell’uomo: crematistica dal verbo crhmatizw (crematìzo) mi occupo di affari, accumulo ricchezze. Oggi utilizziamo soltanto la parola economia, ma attribuendole il significato di crematistica; lo scopo dell’economia moderna è infatti la produzione del capitale ed i suoi risultati vengono misurati in termini di prodotto interno lordo (PIL) senza alcun riferimento ai beni a cui questo capitale si riferisce, né alle risorse naturali utilizzate, né tanto meno alla distribuzione della ricchezza. Il modo più efficace per produrre capitale è utilizzare la massima quantità possibile di risorse naturali, distruggendo come scarti i beni prodotti nel più breve tempo possibile, affinché essi possano essere sostituiti da nuovi beni. Si potrebbe dire che paradossalmente il sistema anziché produrre beni sia fortemente impegnato a produrre rifiuti, cioè a trasformare risorse naturali in cose destinate ad un tempo di utilizzo sempre più breve. I beni vengono infatti chiamati “beni di consumo” e gli individui “consumatori”. Il sistema raggiunge quindi il suo obiettivo di successo, consumando natura piuttosto che producendo benessere. L’economia moderna svuota progressivamente l’uomo del suo contenuto umano e lo riduce a consumatore che deve obbedire docilmente ai messaggi della pubblicità che lo bersagliano con ogni mezzo inculcandogli il desiderio di sempre nuovi beni, attraverso una promessa di felicità che si guarda bene dal mantenere in quanto se la mantenesse non ci sarebbe spazio per il desiderio di nuovi consumi.
La società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline all’edonismo e al consumismo e resta indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato, la gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell’uomo. Se manca il senso del valore della persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. [Giovanni Paolo II, XXIII Giornata Mondiale Della Pace, 1° Gennaio 1990]
L’iper-produttività tecnologica cambia le finalità del sistema economico. L’iper-produzione richiede un iper-consumo, in una spirale di crescita che si auto-alimenta. Il benessere e la valorizzazione dell’uomo cessano di essere l’obiettivo del processo economico. La produzione diviene fine a sé stessa.
Ciò ha provocato un totale capovolgimento di valori in tutte le relazioni nei diversi ambiti sociali, politici ed economici. Basta guardare all’attuale crisi economica. Il mercato finanziario, strumento dell’economia, che ne regolava gli scambi di beni e la conseguente diffusione del benessere, oggi detta le sue regole come leggi all’economia stessa; e l’economia diviene allora strumento dei mercati finanziari. Non è più l’economia che regola i mercati ma viceversa sono i mercati che regolano l’economia e ne dettano priorità ed adattamenti. Ed analogamente non è più la politica che definisce gli obiettivi economici ma è l’economia che detta gli obiettivi politici. Non è più l’individuo che sceglie i politici che ritiene più rappresentativi delle proprie istanze etiche e morali, ma viceversa sono i politici a formare adeguatamente i propri sostenitori, attraverso l’enorme potenza che i media assumono in un mondo di relazioni virtuali. E così che i mercati diventano il vero centro della sfera umana: formano i gusti e le opinioni, inducono desideri, dettano i tempi ed orientano la politica, determinano il funzionamento dell’economia, che non persegue più il benessere di tutti ma tutela gli interessi speculativi di pochi che accumulano enormi capitali sulle altrui disgrazie.
Benedetto XVI, nella lettera enciclica “Caritas in veritate”, dice:
Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli.[43]
Il consumismo divora annualmente circa il 25% in più di tutte le risorse che la biosfera è in grado di produrre in un anno; ciò significa che oggi stiamo erodendo quel capitale naturale accumulato nel passato, lasciando alle generazioni future un mondo più povero; e ciò che è peggio è che stiamo assistendo ad un flusso unidirezionale di risorse naturali dal Sud al Nord del mondo, che realizza da una parte il sogno del capitalismo, la società dell’opulenza, dall’altra una povertà diffusa e senza speranza. Qui si pone un problema di giustizia ambientale, che consiste nel garantire a tutti l’accesso alle risorse essenziali come l’acqua, il cibo, l’energia. Il diritto delle popolazioni a godere dei frutti della terra su cui vivono, non può essere subordinato, come spesso avviene oggi, ad interessi economici di pochi, orientati ad attività estrattive e produzioni nocive per la salute umana e per l’ambiente.
Oggi, seguendo l’individualismo consumista, ognuno è proteso alla conquista della propria felicità; ma la felicità riposta nelle cose è un sentimento effimero ed autoreferente, è frutto della filautìa, dell’amore per sé; è un sentimento sterile, vittima del tempo che continuamente lo distrugge e lo rigenera sempre diverso ma pur sempre uguale, un sentimento che porta alla pigrizia della ragione e al sonno della coscienza, alla passività di desideri coatti, alla disperante omologazione al modello dominante, disperante perché incapace di sperare il nuovo, di pensare e perseguire una utopia.
Le persone che si muovono verso un centro commerciale, obbediscono agli stessi comandi dettati dalla moda e dalla pubblicità; cercano gli stessi prodotti. Stanno insieme come uno sciame di insetti, ma senza relazionarsi reciprocamente. Lo sciame è cosa ben diversa dal gruppo di persone che in epoca pre-consumista si incontravano nella piazza cittadina per scambiarsi opinioni ed informazioni, rafforzando relazioni ed intessendone di nuove. Nelle città moderne anche la piazza come luogo di incontro è scomparsa assumendo la funzione di parcheggio per le automobili. La negazione di questo bisogno di relazioni rende l’uomo infelice, più fragile e vulnerabile fino al paradosso della solitudine nelle nostre città sempre più affollate.
Questo sistema giunto ormai ad un estremismo esasperante nell’ossessione della crescita dei consumi che porta con sé l’accaparramento di quantità crescenti di risorse naturali da parte dei paesi ricchi, condanna alla miseria perenne quelli poveri. E all’orizzonte si affacciano, dopo le guerre per l’energia dei nostri tempi, nuove guerre future per l’acqua e per il cibo.
Stiamo letteralmente consumando la terra e danneggiando quelle funzioni essenziali al mantenimento della vita come la stabilità del clima, la rigenerazione della fertilità dei terreni, la ricarica delle riserve di acqua dolce e pulita. A causa dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici e di un uso distruttivo del territorio, un miliardo e 800 milioni di persone non ha accesso ad acque potabili sicure; a causa dei cambiamenti climatici a tale numero si potrebbero aggiungere entro il 2050 altri 2 miliardi e 800 milioni di persone.
Stiamo minacciando perfino la straordinaria varietà delle specie che garantisce il cammino della vita nel corso dei milioni di anni, attraverso il dispiegamento di una creazione che continua nel processo evolutivo della biosfera. E’ ormai opinione diffusa nel mondo scientifico, ribadita anche in un recente articolo apparso sulla prestigiosa rivista “Nature”, che ci siamo pericolosamente avviati verso la 6° estinzione di massa, ma sarebbe la prima volta che a provocarla sarà una delle specie: quella umana. L’azione irresponsabile dell’uomo sta provocando sulla vita del nostro pianeta un effetto simile a quello dell’enorme meteorite che 65 milioni di anni fa abbattendosi sulla terra causò la scomparsa dei dinosauri e della maggioranza delle specie viventi.
Vi è poi il gravissimo problema della povertà nel mondo con la crescente disparità tra paesi ricchi e paesi poveri. Le crisi ecologiche innescano gravi crisi umane o aggravano crisi pre-esistenti, come carestie, fame, guerre per il possesso di risorse sempre più scarse, diffusione di malattie, causando un gran numero di rifugiati per motivi ambientali. Secondo il rapporto 2009 dell’IPCC (Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico) entro la metà di questo secolo 200 milioni di persone, provenienti in massima parte dai paesi più poveri, rischiano di diventare permanentemente sfollati per cause ambientali. Come negare accoglienza a costoro che pagano sulla loro pelle il prezzo del nostro benessere?
Allora, se il supposto progresso diventa portatore di così gravi minacce, appare in tutta la sua evidenza l’errore antropologico che è alla base della distruzione dell’ambiente naturale. E’ per questo che diviene importante rifondare l’economia secondo il principio dell’equità distributiva dei beni della Terra, e secondo il principio di responsabilità verso le generazioni future, passando dall’opportunismo competitivo alla collaborazione, alla solidarietà, alla sobrietà negli stili di vita. Non può esserci rispetto degli equilibri ecologici se non si afferma una “ecologia umana”.
Se diveniamo consapevoli che il Signore ci ha affidato un mondo dove non manca nulla e tutto è disposto secondo la sapienza del suo amore creativo, non possiamo avere paura del futuro, ma dobbiamo assumercene la responsabilità. Noi che veniamo da un secolo ricco di straordinari progressi, dobbiamo agire con la consapevolezza che un secolo è appena un istante dei 15 miliardi di anni di esistenza dell’universo, ed è un nulla di fronte all’eternità. E’ inutile cercare di perpetuare nel futuro un passato di successi e di privilegi: non c’è futuro che non abbracci nel bene e nel male l’intera umanità e l’intera biosfera, dall’invisibile batterio al più grande dei cetacei che solcano il mare. Sta a noi, con le scelte che compiamo oggi, fare in modo che il futuro sia migliore del passato.
Il rispetto per la vita e per la dignità della persona umana include anche il rispetto e la cura del creato, che è chiamato ad unirsi all’uomo per glorificare Dio [Giovanni Paolo II, XXIII Giornata Mondiale Della Pace, 1° Gennaio 1990]