La dieta mediterranea aiuterebbe a ridurre del 40% i danni cardiovascolari e dimezza la mortalità dei diabetici. Eppure, con la recessione, molti lo stanno abbandonando. Un danno sanitario ma anche ambientale ed economico. In pericolo migliaia di piccoli agricoltori. L’analisi contenuta in due relazioni dell’XI Forum Greenaccord dell’Informazione cattolica per la Custodia del Creato
L’Aquila, 19 giugno 2015 – “Custodire le risorse naturali in modo virtuoso è anche una questione del tipo di pietanze che si decide di mettere in tavola. In questo senso, gli investimenti per una riscoperta della dieta mediterranea sono essenziali anche un punto di vista sanitario, oltre che ambientale. Il messaggio arriva dalla sessione pomeridiana dell’XI forum dell’informazione cattolica per la custodia del creato, organizzato dall’associazione Greenaccord, in collaborazione con la Regione Abruzzo e il Comune de L’aquila.
A evidenziare i vantaggi della dieta mediterranea è Giovanni de Gaetano, ricercatore dell’Istituto neurologico Neuromed. “un’alta adesione a questo regime alimentare – spiega al pubblico presente – dimezza il tasso di mortalità in soggetti diabetici. E il rischio di problemi cardiovascolari scende di circa il 40%”. Dati che, più in generale, evidenziano un miglioramento della qualità della vita: “Più si mangia in modo corretto e più diminuiscono i problemi fisici e mentali” prosegue de Gaetano.
Purtroppo, le evidenze scientifiche non sono altrettanto forti della crisi economica. Che dimostra di incidere in modo negativo sul rispetto dei dettami della dieta mediterranea da parte delle famiglie italiane. “In appena cinque anni si è passati dal 33,7% di adesione registrato nel 2005 al 17,3% del 2010”. Un trend che riguarda tutte le fasce d’età. La controprova di questi dati si ha incrociando il rispetto dell’alimentazione italiana tradizionale con le fasce di reddito: “Più si ha disponibilità economica e più si mangiano ingredienti sani. L’inizio della crisi economica nel 2007 ha divaricato le disuguaglianze e rischia di avere conseguenze a lungo termine sulla salute degli Italiani, soprattutto nelle fasce più deboli”. Un problema serio da più punti di vista: sanitario ma anche per il tessuto economico nazionale perché finisce per essere un danno per i produttori agricoli locali.
Per fronteggiare una questione che coinvolge purtroppo centinaia di migliaia di persone nel nostro Paese, bisogna agire in due modi: tutelare i prodotti nazionali di qualità investendo sulla tracciabilità e contrastare lo spreco di cibo nella Grande distribuzione. “Ogni prodotto immesso in commercio – osserva Giancarlo Belluzzi, esperto di Analisi del Rischio in Sicurezza alimentare – deve avere una sua traccia per risalire alla materia prima con cui è stato realizzato. Ci sono filiere che già oggi sono completamente tracciate dall’inizio alla fine, qualcun’altra si sta ancora attrezzando. La filiera del pomodoro sta iniziando a usare i droni per fotografare i prodotti durante la raccolta e durante la trasformazione per fornire informazioni puntuali ai consumatori”. E sul fronte del recupero del cibo invenduto negli scaffali dei supermercati, Belluzzi ha enfatizzato la scelta del ministero della Salute di produrre il primo manuale per utilizzare il cibo non più vendibile ma che ancora conserva le qualità organolettiche e nutritive. “In questo modo possiamo distribuirlo a chi ne ha davvero bisogno. Ricordiamo che noi europei buttiamo oltre cento milioni di tonnellate di cibo. E nel mondo la cifra sale a 1.3 miliardi di tonnellate ogni anno. Una quantità che potrebbe sfamare per quattro volte i quasi 800 milioni di persone sottoalimentate”.